Certe valli e certi paesi di montagna si sono spopolati.
Da tempo.
Una volta, questi territori erano abitati e vissuti, anche intensamente, negli angoli più reconditi e meno accessibili nonostante la vastità di certi ambienti.
Vissuti, trasformati ed anche sfruttati.
Negli anni subito dopo la guerra, i boschi da dove proveniva la legna e il carbone per scaldarsi, le travi e le scandole (tegole di legno) dei tetti, il mobilio e la maggior parte degli utensili da lavoro, erano ormai confinati a poche zone difficilmente accessibili.
I pascoli la facevano da padrone e le mucche erano forse l’elemento cardine attorno a cui ruotava l’economia dell’epoca in certe zone.
Certi posti, soprattutto in estate li ho girati in lungo ed in largo, sempre a piedi, zaino in spalla, da solo ed in compagnia.
Un’amica del posto, queste estate, nel corso di un’escursione mi indicò una radura di fronte ad un rudere, nel bosco.
“Quella era la malga dove mio nonno portava le mucche in alpeggio d’estate.
Di alberi, allora, in questa zona, non ce n’erano, ma a mio nonno piacevano.
Allora dopo aver spianato l’area di fronte alla casera, perché anche un po’ di piano in questi pendii non scomodava, mise a dimora diverse piantine d’abete.
In qualche modo, a suo modo, cercava di dare un contributo alla riforestazione.”
Il mondo è cambiato da allora.
La gente è scesa in pianura, nelle città, per lavorare nelle fabbriche.
La montagna, i suoi paesi ed i suoi pascoli, sono stati abbandonati.
Il bosco, piano piano, è tornato ad allargarsi ed a colonizzare i prati incolti.
Oggi a distanza di decenni, è arrivato a lambire i centri abitati e, più in quota, le malghe sono nascoste da larici ed abeti.
Solo oltre i duemila metri, regnano i prati, là dove, la neve, le condizioni climatiche avverse, non consentono agli alberi di crescere.
Eccezion fatta per qualche pino mugo, sporadici larici e sorbi farinacci.
“Quella era la malga di mio nonno e ora gli alberi sono dappertutto, fatto salvo quello spiazzo là davanti, dove mio nonno li aveva piantati.
Per assurdo, ci ha lasciato in eredità, questa meravigliosa radura.
Pensa te.”
Il nonno, con tutte le buone intenzioni del mondo, aveva commesso un errore.
Non di poco conto.
Gli alberi ed il bosco in genere, per attecchire necessitano di un suolo sufficientemente integro.
Con un buon livello di humus.
Che non mancava dove c’era l’erba e lo sterco delle bestie al pascolo ad allietare quella terra.
Perché questo fa il letame, che i latini chiamavano “laetamen” da “laetare”, perché allietava, rendeva lieti, felici i campi, nutrendoli.
Il nonno spianando e soprattutto, rivoltando la terra, aveva portato in superficie quella parte profonda del terreno priva di humus, di microorganismi e di vita.
Un terreno sterile incapace di apportare la necessaria sostanza alle piantine, che una volta messe a dimora avevano stentato e poi, complice qualche stagione non troppo favorevole, erano seccate.
Contro ogni pronostico del nonno, una radura oggi si apre in quel bosco lussureggiante.
Ma pian pianino, qualche cespuglio va colonizzando quello spiazzo, alcuni rododendri e qualche ginepro, si va abbarbicando in quella terra povera, penetrandola, rilasciando al suolo le sue foglie, i suoi aghi più vecchi.
Poi magari qualche seme di larice o betulla (alberi pionieri che sanno adattarsi a terreni poveri), trasportato dal vento o da qualche sbadato uccellino, si depositerà e germoglierà sotto quelle fronde, protetto dalle bocche avide di cervi e caprioli, crescerà.
Qualche fungo simbionte, amico, si unirà alle sue radici aiutandolo ad esplorare quel terreno come una ragnatela, una rete, e a captare quel poco di sostanza presente rilasciata dall’erba in decomposizione e l’acqua, da questa trattenuta.
A quel punto, all’ombra leggera di quegli alberi, fra i cespugli, sotto un leggero strato di aghi e foglie anche gli abeti e i faggi riusciranno ad attecchire e il bosco colonizzerà anche quella radura.
La natura ha i suoi tempi e soprattutto i suoi equilibri.
Le piante non si infilano, o si seminano arbitrariamente nel terreno senza considerare le loro caratteristiche.
E’ di fondamentale importanza mantenere, o rendere, il suolo vitale con i suoi tanti microorganismi; i suoi batteri in grado di decomporre la sostanza organica, i suoi funghi capaci di allearsi con le piante offrendo loro un’estensione alle radici.
Sono necessarie le foglie cadute, l’erba, gli arbusti in grado di difendere il suolo dall’erosione, dal dilavamento delle piogge che tutto porterebbero a valle, per mantenerlo coperto ed umido nel corso dei periodi più siccitosi dell’anno, isolato in quelli più freddi.
Sarà necessaria l’azione degli insetti, dei lombrichi per lavorare ed ossigenare il terreno, per rendere, con la propria digestione, fruibili alle piante sostanze che altrimenti sarebbero inaccessibili, o comunque impossibili da assimilare.
Fai tesoro di tutto questo anche quando si tratta di metter mano al tuo giardino.
AUTORE: Simone Tanturli
European Tree Worker