Facciamo finta che un albero nasca e cresca ai bordi di un fosso, e pensiamo che diventerà grande, bello e forte come i suoi vicini alberi.
Poi un giorno arrivano le ruspe e gli costruiscono intorno strade, case e autorimesse.
Gli scavano le radici.
Lo urtano e lo feriscono.
Piazzano al suo fianco pali della luce, pavimenti in asfalto e cemento.
Poi, non contenti, danno una bella strapazzata alla chioma perché, nel frattempo, era diventato “troppo alto”.
Come se non bastasse sopporta aria inquinata, suolo sterile e continue lesioni.
Auto parcheggiate sulle sue radici.
Colpi al fusto e tutto un corollario di cui noi uomini siamo capaci.
Finché l’albero un bel giorno, ormai sofferente, scarica al suolo la sua frustrazione, maturata in anni di ingiurie e di danni.
E non potendo muoversi non sta tanto a scegliersi il bersaglio.
Quel che c’è va bene: una strada, le auto in sosta, una casa, un grazioso gazebo.
E va ancora bene se non fa feriti, o peggio.
Allora il Consiglio dei Saggi Umani si riunisce e decreta la condanna a morte dell’esemplare per la grave offesa inferta.
Non passa un altro momento che compaiono le motoseghe e l’albero, quello che sognava di diventare grandioso come i suoi simili nel bosco, viene giustiziato.
Oppure mettiamola giù così: un albero nasce e cresce ai bordi di un fosso.
Non pensa un bel niente.
Non aspira a diventare alcunché.
Non ha coscienza, né sentimenti.
Non è né buono e benevolo con i saggi uomini che lo accudiscono con cura, né malvagio con chi gli reca offesa.
Cresce solo secondo il suo codice genetico e con le risorse che la casualità della sua germinazione gli ha messo a disposizione.
Reagisce alle offese ed alle aggressioni con quanto la sua natura lo ha dotato.
E con le riserve energetiche che è riuscito ad accumulare in anni di paziente ed incessante lavoro, se perde un ramo tenterà di ricrearlo.
Se perde una radice si aggrapperà al suolo altrimenti.
Se perde l’erba ed il favore del fosso, si disseterà altrove .
Finché potrà.
Finché i suoi limiti biologici e meccanici non verranno stravolti.
Poi come tutti gli esseri viventi perirà, e, ignaro di ciò che gli sta di sotto, cascherà al suolo.
Poco importa che lo faccia da secco o ancora vegetante.
Un po’ alla volta, a pezzi, o tutto in un colpo.
In ogni caso, come dalla terra si era elevato al cielo, alla terra tornerà.
Sia che guardiamo il problema con poesia e sentimento, sia che lo affrontiamo con scienza e microscopio, ci tocca ammettere che l’ambiente urbano,
in cui il genere umano sembra vivere meglio, è in realtà il più ostile al mondo per gli alberi.
Più ostile ed infido dei deserti.
Perché lì almeno la crescita di un albero è preclusa in partenza da un ambiente che non concede niente.
La città invece alletta l’albero con facili promesse: clima compatibile, disponibilità di acqua, scarsa competizione con i simili, sole e luce riflessa su tutta la chioma.
In apparenza una vera pacchia.
Eppure la vita media degli alberi in città è molto limitata.
In media qualche decina di anni.
Anche quando le potenzialità potrebbero andare ben oltre il secolo di vita.
I nuovi impianti stentano a causa dell’incompatibilità ambientale o della povertà del suolo.
E se attecchiscono la loro vita è spesso misera.
Come un aereo che non decolla mai, perché la pista è troppo corta.
Esigui alberelli, freschi di vivaio, sono piantati in tutta fretta e senza cura.
Abbandonati a se stessi, muoiono in piedi e, dopo aver dato triste spettacolo per un po’, vengono rimossi e sostituiti in ugual modo.
I grandi esemplari non godono solitamente di maggiore rispetto e considerazione.
Nonostante l’incuria possa, in questi casi, cagionare danni ben più importanti.
Se degli alberi non frega niente a nessuno, se costituiscono solo un grande problema, se sporcano con le foglie, se sono pericolosi e via dicendo, perché ci ostiniamo a tenerceli in mezzo ai piedi?
Perché insistiamo a riempirci le città ed i cortili di queste scomode ed ingombranti presenze?
Anziché concedere spazio a parcheggi e strade.
Perché sprecare ancora soldi per la messa a dimora degli alberi?
Il poeta sentimentale risponderà perché sono belli.
L’architetto che ingentiliscono il paesaggio, rompono la monotonia del cemento e dei palazzi.
Il politico che fanno sentire meglio, portano del colore e dell’allegria nel grigiore della metropoli.
Lo scienziato risponderà invece che senza gli alberi noi non possiamo proprio vivere.
Che mitigano il riscaldamento dovuto all’eccessiva cementificazione.
Che filtrano l’aria inquinata e maleodorante per regalarci qualcosa di ancora respirabile.
Una città senza alberi è torrida in estate, gelida in inverno, sferzata senza riparo da venti impetuosi e soprattutto brutta, triste e morta.
Forse questi scomodi ospiti risultano indispensabili.
Allora conviene tenerseli in mezzo ai piedi.
Gli alberi possono vivere senza gli uomini.
E anche meglio.
Noi senza di loro?
E’ ora di iniziare a prenderci più cura di loro.
Magari con periodici controlli che ne stabiliscano le condizioni di salute e di stabilità.
Evitando di metterli nelle mani di ignoranti ed improvvisati.
Gli alberi vanno affidati a personale qualificato e competente, con lunga esperienza e studi specifici pregressi.
Un intervento sbagliato su un albero produce effetti negativi a distanza di anni.
E’ facile poi dare le colpe all’ albero, in caso di cedimenti.
Dopo un evento nefasto causato da un albero, si scatena di solito una sorta di isterica caccia alle streghe che vede coinvolti anche altri soggetti arborei posti nelle vicinanze di quello che ha causato il danno.
Abbattimenti ingiustificati o drastiche capitozzature sono il triste ed inutile spettacolo a cui tocca assistere.
La paura si sa, è figlia dell’ignoranza.
Che sul tema degli alberi dilaga diffusa.
E’ disponibile un’ampia letteratura per gli appassionati dell’orto, del giardino fiorito, di quello pensile, del terrazzo aromatico, dell’aiuola fitoterapica e
di tutto quello che ci si è inventati per ornare e migliorare gli spazi urbani.
Ma per quanto riguarda gli alberi c’è il vuoto.
In pochi sanno che qualunque lesione, anche la più piccola ed insignificante, a danno del fusto o delle strutture radicali affioranti, apre le porte all’aggressione dei funghi.
I funghi sono dei soggetti strani.
Hanno un sacco di tempo a disposizione e sono ghiotti di legno.
Piano, piano, si mangiano l’albero da dentro.
E l’albero può anche non dare segni della sua sofferenza.
Se una piccola sbucciatura del fusto può avere conseguenze spiacevoli, figuriamoci decine di tagli indiscriminati di rami e branche.
La potatura, nella maggior parte dei casi, oltre ad essere inutile potrebbe diventare pure deleteria.
Hai ancora voglia di potare i tuoi alberi?
Inoltre ogni volta che intervieni su albero ti rendi responsabile.
Forse è meglio affidarsi a chi ha le competenze, che dici?
Solo un arboricoltore esperto è in grado di mantenere un albero, in contesto urbano o antropizzato, sicuro, sano, bello, il più a lungo possibile e di prevenirne l’inevitabile collasso finale.
Gli alberi sono il migliore investimento a lungo termine tu possa fare e ti permettono di lasciare, quando verrà il momento, un’ eredità che testimoni un atteggiamento responsabile e civile.
AUTORE: Mauro Zanichelli
European Tree Worker