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Di questi tempi sentiamo sovente parlare di “rigenerazione”.

L’appellativo rigenerativo è associato all’agricoltura, all’economia, e molto altro.

Con questo termine si vuole enfatizzare un passo avanti rispetto al concetto di sostenibilità.

In agricoltura, la rigenerazione implica un totale ripensamento dei meccanismi con cui

ci relazioniamo con gli ecosistemi di cui facciamo parte, rendendo le nostre interazioni

virtuose, in modo tale che queste migliorino la fertilità, biodiversità, resilienza, nutrizione

dell’ambiente circostante.

 

🌱 Negli ultimi anni, un movimento di pionieri disseminati per il mondo ha iniziato a

sperimentare nuove tecniche di gestione di orti e giardini in maniera rigenerativa.

Che cos’è quindi l’orticoltura rigenerativa?

I principi che ne stanno alla base possono essere riassunti in cinque linee guida:

 

-Mantenere il suolo coperto

-Disturbare il suolo il meno possibile

-Incoraggiare in ogni modo possibile la biodiversità, sia sopra che sottoterra

(senza dimenticare la mente e l’intestino  del contadino)

-Massimizzare la fotosintesi clorofilliana, coprendo il terreno di foglie e radici.

-Astenersi dall’uso di prodotti chimici di sintesi                                                                                                     

Per suolo qui intendo la componente minerale di quello che chiamiamo terreno,

composta di limo, argilla e sabbia.

 

🌦 In climi temperati e umidi come quello inglese, nel quale lavoriamo con la mia azienda

Living Soil Gardencoprire il suolo è importante soprattutto per limitare l’erosione

dovuta alle forti piogge invernali, ma anche per proteggerlo dal sole estivo, e per creare

un habitat costantemente ospitale per la micro-, macro- e meso-biologia del terreno.

 

🥕 Quando è possibile applicare i primi due principi in maniera ideale, si può parlare del

cosiddetto no-dig (che letteralmente significa “non scavare”).

In un sistema no-dig, si può evitare di disturbare il terreno in maniera meccanica,

se non per brevi interazioni con lo strato superficiale (1-5cm), ma senza mai invertire

gli orizzonti e rovinare la struttura.

Il suolo rimane coperto sia dalle foglie delle piante, ma nel peggiore dei casi

(e sempre per tempi brevi) almeno da uno strato di materia organica (10+cm) permanente.

Questa materia organica può essere di qualsiasi origine e consistenza, a seconda dei

contesti climatici e delle risorse disponibili: compost, paglia, fieno, stallatico, erba, ecc.

 

🌞 E’ importante notare come in climi caldi e in zone mediterranee, (sub)tropicali

ed equatoriali, il modo più veloce di creare uno scudo organico permanente che protegga

la parte minerale del suolo è usare la successione ecologica.

In questi casi, nulla è più veloce della simbiosi di radici e microbi nel creare materia

organica in situ.

 

🌦 In climi più temperati come quello in cui lavoriamo noi a Living Soil Garden,

può essere molto più conveniente avvantaggiarsi accelerando la progressione

ecologica del suolo.

Questo può essere fatto importando della materia organica dall’esterno o

producendola in un’area adibita alla coltivazione di biomassa.

Se fatto con criterio, l’applicazione di uno strato spesso di pacciamatura (deep-mulch)

può catapultare il nostro terreno in una fase di grande attività biologica

(tipica di un ecosistema più avanzato ed abbondante), risparmiandoci il tempo che

prenderebbero le piante spontanee (tramite una successione di annuali, perenni,

arbusti ed alberi pionieri) per ottenere lo stesso risultato.

 

🥬 Il vantaggio di questo metodo è che si può ottenere un terreno facilmente coltivabile,

stabilmente fertile e privo di “infestanti” in pochissimo tempo.

Gli svantaggi sono il fatto di dover procurarsi e spostare grandi quantità di materia

organica tutta in una volta, e il rischio (in climi caldi) di vedere lo sforzo vanificato

dall’iper-ossidazione e da un’attività microbica insufficiente.

 

🌱 Una domanda che mi sento ripetere spesso, quando mostro il nostro orto ai visitatori

e anche quando condivido qualche foto con amici e colleghi italiani, è: “com’è possibile

che con questo metodo ci siano così poche infestanti?”

 

🌳 La risposta è relativamente semplice per l’osservatore delle dinamiche ecologiche:

un terreno che ha popolazioni equilibrate di batteri e funghi, un alto contenuto di

materia organica, e che non viene disturbato con processi meccanici ed ossidativi,

non è l’habitat naturale per specie pioniere.

In natura, un terreno in queste condizioni è caratteristico di uno stadio della

successione ecologica nel quale le pioniere hanno già adempito al proprio compito,

e quindi lasciano il posto a specie più esigenti e produttive.

In termini semplici: le erbacce intervengono ad apportare materia organica e

facilitare la successione sopra e sotto terra.

Se lo facciamo noi con la nostra gestione dell’orto, le erbacce non vengono stimolate

a svolgere questa funzione, e quindi non prosperano.

Inoltre il non lavorare il terreno non porta in superficie i semi di spontanee

accumulati negli anni.

 

 

🍅 Molti degli ortaggi che mangiamo di solito sono a tutti gli effetti

delle “erbacce selezionate”, e quindi condividono molte caratteristiche

con le cosiddette infestanti.

Per questo motivo, in orticoltura si lavora sul filo del rasoio se non si introducono

sistemi stratificati di annuali, biennali e perenni che hanno diverse

caratteristiche ed esigenze.

 

Autore: Dario Cortese

Living Soil Garden

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