Se hai un grande albero in giardino ti sarà capitato di vederlo sbatacchiare nelle giornate di forte vento.
O di non dormire sonni tranquilli con la paura che potesse cadere e fare danni.
Nei modelli matematici che spiegano il rapporto tra vento e alberi, la chioma di questi ultimi viene rappresentata come una vela.
Il paragone è estremamente pratico, soprattutto quando occorre quantificare le forze in gioco, ed esprimerle in termini numerici.
Ma non è propriamente azzeccato, in quanto una vela ed un albero assolvono a compiti diversi.
Certo, avere dei numeri su cui ragionare ci rassicura.
Ci dà quel senso di controllo con il quale amiamo gestire e catalogare tutti i fenomeni del mondo naturale che ci circonda.
Il contributo di fisici e matematici, alla moderna arboricoltura ed alle valutazioni di stabilità degli alberi, è fondamentale.
Tuttavia neppure il più sofisticato modello matematico è in grado di esprimere con esattezza come un albero dissipi realmente le forze impresse dal vento.
Al primo alito di vento le foglie degli alberi si dispongono parallelamente alla sua direzione.
E’ come se una vela, che per mare è fatta per catturare e trattenere il vento, diventasse un drappo tutto bucato, fatto a brandelli.
Se il vento rinforza un po’, la resistenza delle foglie trascina il ramo in un dolce piegamento, anche questo per assecondare il vento invece di resistergli.
All’aumentare della forza di Eolo, la strategia di resilienza si fa più complessa.
Flessioni e torsioni dei rami dissipano la spinta del vento.
Le forze vengono scaricate sulle branche principali, anch’esse sollecitate a compiere movimenti che assecondino le spinte del vento.
E così via con un sistema a cascata di trasferimenti di forze residue.
Fino al fusto, che pure si flette, disperdendo energie.
Quanto resta della spinta del vento viene ulteriormente scaricata lungo il fusto fino alla zolla radicale, dove si gioca l’ultima partita tra il vento e l’albero.
Quando una vela cattura il vento, questa oppone la massima resistenza e trasferisce la forza prodotta lungo un “albero maestro” (guarda caso), fino al vascello, consentendogli di scivolare sull’acqua.
Quando il vento tenta di catturare una pianta, ha a che fare con un individuo sfuggevole, flessibile, dalla forma imprevedibile e sempre mutevole.
E’ come fare a pugni contro un elastico.
Per questo, amando gli alberi prima di tutto per motivi estetici e poetici, se dovessi trovare un paragone del rapporto esistente tra alberi e vento, mi verrebbe in mente lo sforzo di chi tenta di attingere acqua dal pozzo con le mani.
Per quanto la conchetta sia preparata accuratamente, e le dita sigillino con forza ogni pertugio, alla fine si resta sempre con in mano nient’altro che, appunto, un pugno d’acqua.
L’esperienza del vento tra le fronde, vissuta dall’interno di un albero, per un tree climber vincolato con corde alle cime più alte, è quanto mai illuminante sulla complessità e sulla perfezione di questi meccanismi.
E’ infatti sufficiente una bava di vento per veder innescare sotto di sé un carosello incredibile di oscillazioni e ondeggiamenti.
Non è paura quella che assale: al contrario, è un piacevole abbandono tra braccia rassicuranti, che cullano, che desistono docilmente al vento con movimenti ampi e lenti, a descrivere perfette ellissi nel cielo.
Alla fine si torna sempre lì dov’eri all’inizio, proprio nello stesso punto nel vuoto, in compagnia di quel pezzo di albero che occupa il tuo stesso spazio.
L’albero non si oppone al vento: lo asseconda.
Non resiste; caso mai desiste.
È nato con il vento.
Molto spesso è il vento che ne ha trasportato il seme.
E’ cresciuto con il vento, ogni giorno ed ogni notte, per decine di anni, a volte centinaia. In una danza continua e incessante.
La sua natura gli impone di dispiegare la chioma alla luce del sole, fonte della sua vita, più in alto di tutti.
Incontrando e scontrandosi con il padrone indiscusso del regno del vuoto: il vento, cui anche gli alberi si inchinano.
Soffia il vento, e gli alberi esercitano ciò che fanno ogni giorno della loro vita, che è frutto di un corredo evoluzionistico in marcia da trecentocinquanta milioni di anni.
Si può temere che quell’amorevole dondolio ti tradisca?
A seguito di un forte vento, sempre più frequente visti i cambiamenti climatici, alcuni alberi non resistono e si rompono o si sradicano.
A volte facendo pure dei danni.
La beffa è che a rimetterci, poi, sono pure quelli che avevano eroicamente resistito.
Avevano passato la peggiore prova di stabilità e resistenza.
Ma vengono comunque condannati sul banco della dendrofobica ignoranza e consegnati alla ferocia delle motoseghe.
Con i nostri quattro milioni di anni evolutivi, siamo come bambini tra le braccia di questi giganti.
Siamo ancora incapaci di capire.
Troppo immaturi per poter anche solo immaginare cosa sia davvero un albero.
Con tutta questa genuina e fanciullesca inconsapevolezza, un bel giorno, uscendo di casa, può capitare di notare quell’albero, che è sempre stato lì, accorgersi solo adesso quanto sia diventato alto.
E chiedersi: sarà pericoloso?
Sarà meglio abbassarlo un po’?
Ed i peggiori disastri, a danno degli alberi, non è più il vento a compierli.
AUTORE: Mauro Zanichelli
European Tree Worker