Sulle nostre teste accadono cose.
E sono cose così belle che per guardarle mi sono ustionata le orecchie.
Esiste un posto in Italia che tutti conoscono, ma nessuno conosce veramente: lo Stretto di Messina.
Qui si verifica uno degli spettacoli più grandiosi della natura: la migrazione primaverile degli uccelli.
Nel nostro emisfero, la rotta migratoria passa solo in tre punti: Bosforo, Gibilterra e, appunto, Stretto di Messina, dove il fenomeno è particolarmente intenso.
Nel loro lungo (per alcune specie lunghissimo) viaggio dall’Africa ai siti di nidificazione in Europa, il momento più delicato è quando devono attraversare il mare.
Lì non ci sono le correnti ascensionali calde, quelle che permettono agli uccelli – e in particolare ai veleggiatori – di compiere grandi distanze senza battere le ali.
Gli stretti rappresentano, dunque, una via obbligata, che li aiuta ad evitare bracci di mare più ampi e a risparmiare le forze.
È l’unico luogo e l’unico momento in cui è possibile osservare specie di uccelli (anche estremamente rare) senza dover affrontare un viaggio in Norvegia, Finlandia, Gran Bretagna.
Arrivano a stormi, decine di migliaia, volando a bassa quota (per i loro standard).
Spettacolare.
Sono stanchi e non vedono l’ora di riposarsi un po’.
Il che significa che, se ti trovi su una delle alture che sovrastano lo Stretto di Messina, hai anche la possibilità di vederli da una prospettiva inconsueta: dall’alto, anziché dal basso (come siamo abituati) e a distanza ravvicinata.
Cicogne Bianche; Cicogne Nere; Ibis; Gruccioni; Rigogoli; passeriformi di tutti i tipi.
Ma soprattutto i rapaci, specie protette perché a rischio estinzione: Aquile Minori; Nibbi; Falchi della Regina; Falchi Pescatori; Albanelle Minori; Bianconi.
Sono tutti lì.
Soprattutto lui, il Pecchiaiolo (volgarmente detto Adorno).
Si chiama così perché si nutre di pecchie (cioè api e simili): è un bellissimo rapace che in Italia nidifica dall’alto Lazio in su.
E che per molti anni è stato vittima (e in parte lo è ancora) di un tradizionale quanto spietato (e illegale) bracconaggio.
È per questo che dal 1984 la Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli) tra la fine di aprile e la metà di maggio organizza i campi antibracconaggio, in collaborazione con il Corpo Forestale dello stato.
Ad uno dei primi di questi campi ho partecipato anche io: alle volte bastava la nostra presenza per scoraggiare i bracconieri (particolarmente accaniti quelli calabresi); altre volte sentivamo gli spari e vedevamo i Pecchiaioli (ma non solo) cadere giù.
Alcuni riuscivamo a recuperarli vivi; molti morivano; qualcuno non è più potuto tornare in libertà.
Siamo anche riusciti a cogliere qualche bracconiere sul fatto e per lui è scattata la denuncia penale.
Era una sfida tra noi e loro e la tensione spesso era alta: non andavamo mai in giro da soli da quelle parti.
Ma la peggio toccava ai volontari del luogo: erano oggetto di intimidazioni e aggressioni durante tutto l’anno.
Fortunatamente dalla nostra c’era la Forestale.
Oggi il fenomeno è in regressione (anche se non del tutto debellato), ma alla fine degli anni Ottanta era una vera strage: esistono ancora, sparsi sui monti sopra Villa San Giovanni, i bunker muniti di feritoie dietro i quali si appostavano i bracconieri.
La Lipu continua ad organizzare questi campi che oltre a contrastare un fenomeno assurdo servono a tenere alta l’attenzione e a raccogliere dati, a fare censimenti, studiare la migrazione.
Arrivano ornitologi da tutta Europa.
Mi ricordo che ad ogni avvistamento dovevamo compilare una scheda e quante discussioni quando non ci trovavamo d’accordo: riconoscere una specie dall’altra non è sempre facile.
Per me lo Stretto di Messina dovrebbe diventare un santuario naturalistico.
Altro che Ponte.
Ah, ma forse volevi sapere delle orecchie ustionate?
Era un maggio molto caldo; uno di quelli che sembrano luglio.
All’epoca avevo i capelli lunghi e siccome faceva molto caldo li avevo raccolti sulla nuca.
Quel giorno era stato magnifico: passavano così tanti uccelli che non avevo quasi mai staccato il binocolo dalla fronte.
La sera, ritornata all’alloggio, nel tirarmi giù i capelli sfioro con la mano il dorso dell’orecchio e sento un gran dolore.
Mi guardo allo specchio e vedo due mezzelune color peperone.
Non mi ero resa conto che quella parte del corpo, solitamente coperta dai capelli, non aveva mai preso sole e dunque era particolarmente sensibile.
Nei giorni successivi la pelle dal rosso è virata al nero-marrone e poi, ormai arrostita e morta, ha iniziato a cadere.
Non sono rimaste tracce.
Ma tu, se deciderai di andare ad assistere a questa grande bellezza, oltre al binocolo portati un cappello.
AUTRICE: Romina Pellecchia Velchi
Giornalista Conten Writer